L’infezione acuta dell’orecchio medio (otite media acuta, OMA) è una delle patologie di più frequente riscontro in età pediatrica. Il 5-10% dei bambini con meno di 5 anni soffre di almeno un episodio nel corso dell’anno e un quarto circa dei bambini giunge prima o poi all’osservazione del medico per un problema di otalgia dovuto ad una malattia dell’orecchio medio. La gestione di questo disturbo, che rappresenta uno dei motivi di maggiore richiesta di consultazione per il medico, è caratterizzata da una grande variabilità nella pratica clinica. In Italia, la maggior parte, se non la quasi totalità, delle diagnosi di otite acuta viene accompagnata dalla prescrizione di un antibiotico. Lo stesso succede negli Stati Uniti dove si ricorre in prima istanza ad un antibiotico nel 98% dei casi. Il comportamento dei medici olandesi risulta invece molto diverso: essi utilizzano un antibiotico solo nel 30% dei casi. Il ricorso così diffuso agli antibiotici nell’OMA, così come nelle infezioni delle vie respiratorie in generale, costituisce un argomento molto dibattuto, proprio per la discordanza esistente tra i comportamenti tenuti nella pratica quotidiana e le raccomandazioni di tutte le linee guida per un loro uso oculato. L’aumento delle resistenze verso numerosi agenti antibatterici, anche se non direttamente e immediatamente visibile dal singolo medico, ha conseguenze gravi che impongono una maggiore attenzione nei confronti di questi farmaci. Nei paesi dove si sono adottate misure di razionalizzazione nella prescrizione, la prevalenza di ceppi batterici resistenti è molto più bassa rispetto a quelli dove l’uso di antibiotici è meno “selettivo”. Lo scopo di questo lavoro è di fare il punto sul problema OMA alla luce dei dati clinici provenienti dalla letteratura più accreditata e di proporre un percorso diagnostico-terapeutico realistico da applicare nella pratica di tutti i giorni.
Eziologia
L’otite media acuta è causata per lo più da batteri: lo Streptococcus pneumoniae è l’agente eziologico più spesso responsabile dell’infezione. Gli altri microrganismi identificati in ordine di frequenza sono l’Hemophilus influenzae e la Moraxella catarrhalis. Gli streptococchi di gruppo A e lo Staphylococcus aureus rappresentano patogeni meno comuni. Le otiti virali sono in genere complicate dalla sovrapposizione secondaria di uno di questi batteri.
L’episodio inizia in modo caratteristico con una infezione delle vie respiratorie alte: l’infiammazione provoca un blocco della tromba di Eustachio. All’interno dell’orecchio medio si forma una raccolta sierosa che si infetta per la presenza di batteri o di virus provenienti dal rinofaringe. La pressione esercitata dal versamento sulla membrana endotimpanica provoca dolore. L’otalgia può essere accompagnata da sintomi quali malessere generale, febbre, diarrea, anoressia, irritabilità, riduzione dell’udito, vertigini. Se la pressione esercitata dalla raccolta sierosa continua ad aumentare si ha perforazione della membrana timpanica e fuoriuscita del liquido sieroso dall’orecchio medio. La perforazione è accompagnata da una improvvisa remissione del dolore, anche se la perdita dell’udito permane sino a guarigione delle membrana. Nell’ 80% circa dei casi l’OMA ha una durata molto breve, con risoluzione spontanea del dolore e/o degli altri sintomi nell’arco di 3 giorni. Le complicanze acute dell’OMA (mastoidite e meningite) sono attualmente molto rare.
Diagnosi
I criteri per la diagnosi di otite sono controversi. Studi europei svolti nell’ambito della medicina generale hanno stabilito come la diagnosi di OMA sia raggiunta con certezza nel 73% dei bambini al di sopra dei 2 anni e mezzo e nel 58% dei bambini al di sotto dell’anno di vita. Che esistano delle difficoltà nel pervenire ad una diagnosi sicura di otite media acuta è esperienza comune. L’elemento diagnostico più importante è infatti la visualizzazione della membrana timpanica tramite esame otoscopico. Nei bambini al di sotto dei 2 anni, l’esecuzione di una otoscopia presenta tuttavia delle difficoltà e può non risultare esauriente anche nei più grandi, a causa della conformazione del condotto uditivo o per la presenza di residui di cerume. Si ritiene che la diagnosi possa essere posta con un ragionevole grado di certezza se sono presenti reperti di iperemia intensa o di opacizzazione, tensione della membrana timpanica e almeno uno dei sintomi di otite: dolore, febbre, vomito o diarrea. Per poter eseguire un esame otoscopico corretto è importante usare una strumentazione idonea e una tecnica adeguata. In questo senso, l’otoscopio pneumatico rappresenta lo strumento più idoneo perché, oltre a fornire informazioni sull’aspetto della membrana, permette anche di valutarne la mobilità.
Trattamento
Il trattamento mira ad attenuare il dolore e la prostrazione del bambino, ad eliminare l’infezione batterica evitando le complicanze e le recidive, col minor carico possibile di effetti indesiderati. Un farmaco sintomatico come il paracetamolo, per via orale sotto forma di sospensione o per via rettale (in presenza di nausea o vomito), è in grado di alleviare il dolore e abbassare la febbre.
Circa l’opportunità di utilizzare un antibiotico è necessario rispondere ad alcune domande sulla base dei dati disponibili.
1. Servono gli antibiotici in prima battuta?
Numerosi studi clinici randomizzati e controllati hanno confrontato con placebo la terapia antibiotica intrapresa ai primi sintomi, in bambini dai 2 mesi ai 15 anni affetti da OMA, nei quali la diagnosi era stata formulata sulla base dei criteri esposti in precedenza. Dall’analisi dei risultati di questi studi, oggetto di revisioni metanalitiche, emerge che:
- il trattamento empirico precoce con antibiotici apporta solo modesti benefici. Dopo 24 ore dall’esordio dei sintomi, il 60% dei bambini (sia quelli trattati con l’antibiotico che col placebo) non ha più otalgia. Tra il 2° e il 7° giorno, il dolore è presente in misura superiore nei bambini trattati con placebo rispetto a quelli assegnati all’antibiotico (14,3% contro 9,7%). Risulta quindi necessario trattare 17 bambini per prevenire un caso di otalgia tra il 2°e il 7° giorno (NNT=17), a fronte di una incidenza quasi doppia di effetti indesiderati (soprattutto diarrea). Uno studio recente conferma come la prescrizione immediata di antibiotici garantisca un beneficio sintomatico soprattutto dopo le prime 24 ore, vale a dire nella fase di progressiva risoluzione spontanea dei sintomi.
- l’antibiotico riduce il rischio di otite controlaterale, ma non previene i rari casi di mastoidite. Per ciò che riguarda l’altra complicanza grave, la meningite, in uno studio di coorte olandese nessuno dei quasi 5.000 bambini con otite non trattati con antibiotici ne è risultato affetto. L’antibiotico non incide nemmeno sull’ipoacusia residua, che persiste sempre a lungo dopo un episodio importante. Sulla base di queste evidenze cliniche si può quindi affermare che l’uso sistematico di antibiotici nella fase precoce della malattia non è indicato.
2. Esistono condizioni particolari che rendono consigliabile un trattamento antibiotico precoce?
In una piccola percentuale di bambini (10% negli studi clinici, 3% in uno studio osservazionale olandese) non si ha remissione dei sintomi nell’arco dei 3 giomi e si osserva una ricorrenza dell’infezione a breve termine rispetto al primo episodio. A questo sottogruppo appartengono soprattutto i bambini più piccoli (meno di 15 mesi di età), con una storia personale (o familiare) di otiti ricorrenti e che hanno avuto un episodio di otite nel mese precedente.
A tutt’oggi non esistono però studi che dimostrino la capacità della terapia antibiotica di migliorare la prognosi a breve e a lungo termine, relativamente alla persistenza del versamento all’interno dell’orecchio medio e alla ricorrenza dell’otite stessa. In assenza di studi che evidenzino quale possa essere il beneficio di un atteggiamento di attesa con l’uso dei soli analgesici, in questi bambini, così come in quelli più gravi (con dolore, febbre, otorrea importante), può essere ragionevole utilizzare un antibiotico.
3. Se la sintomatologia non regredisce nei primi 2 o 3 giorni coi soli sintomatici o nei casi in cui si sceglie di prescrivere un antibiotico, quale va usato e per quanto tempo?
I risultati di recenti metanalisi mettono in evidenza come l’amoxicillina per via orale, al dosaggio di 40-45 mg/kg/die in 2-3 somministrazioni, rimanga l’antibiotico di elezione. Nessun altro antibiotico, anche tra quelli più recenti resistenti alle beta-lattamasi, comprese le cefalosporine orali di ultima generazione, possiede una migliore attività nei confronti dello S. pneumoniae e una analoga capacità di penetrazione e di permanenza nell’essudato nell’orecchio medio. Nel nostro paese, stante la sensibilità dello S. pneumoniae, non è necessario raddoppiare la dose giomaliera delI’amoxicillina, come viene suggerito negli USA per la prevalenza di ceppi resistenti. A differenza dell’H. influenzae e della M. catarrhalis, la resistenza dello S. pneumoniae non si realizza tramite la produzione di beta-lattamasi (ma attraverso una alterazione delle proteine che legano la penicillina) e il problema può essere ovviato aumentando il dosaggio dell’amoxicillina. Il dosaggio di 80-90 mg/kg/die può essere eventualmente utilizzato nel caso in cui l’amoxicillina sia stata già impiegata alla dose standard per trattare un episodio di OMA nel mese precedente. Se il bambino è allergico alla penicillina si può ricorrere al cotrimossazolo oppure ai macrolidi. Numerosi studi documentano inoltre l’efficacia di schemi terapeutici della durata di soli 5 giorni contro i 10 precedentemente consigliati.
4. Se l’amoxicillina fallisce quale antibiotico si deve usare?
Qualora, dopo 3 giorni di trattamento, non si osservi alcun miglioramento delle condizioni generali del bambino (es. attenuazione del dolore, della febbre, della otorrea), l’amoxicillina va sostituita con un antibiotico attivo anche nei confronti dei germi Gram-negativi produttori di beta-lattamasi, come l’amoxicillina + acido clavulanico, la cefuroxima-axetil o il cefaclor (più palatabile della cefuroxima-axetil e quindi meglio accetto da parte dei bambini).
Se in settima giornata i sintomi persistono, una ulteriore possibilità è rappresentata dal ceftriaxone per via intramuscolare in monodose (50 mg/kg), somministrato per tre giorni consecutivi. Poiché il ceftriaxone permane in elevata concentrazione nell’orecchio medio per diversi giorni anche dopo una singola dose, in alternativa può essere adottato uno schema terapeutico che prevede una sola somministrazione e l’osservazione clinica per 48 ore, dopo di che, se la sintomatologia persiste, si somministra una seconda dose ed una terza se non c’è miglioramento. Nei casi di fallimento terapeutico e solo in casi molto sporadici si rende necessaria la timpanocentesi per individuare l’agente eziologico.
5. E’ possibile ridurre il tasso di recidive?
Quando il bambino va soggetto a 3 o più episodi di otite nel corso dei mesi invernali o a 5 episodi in un anno si parla di otite ricorrente. In questa condizione, che può essere estenuante sia per i bambini che per la loro famiglia, è tuttora frequente il ricorso ad un trattamento antibiotico “profilattico” con dosi relativamente basse di amoxicillina (500 mg/die) per lunghi periodi di tempo (es. tre mesi). I vantaggi di questo approccio, tuttavia, non sono ancora dimostrati in termini di riduzione delle recidive, né sono stati individuati i criteri sui quali basare la decisione di intraprendere il trattamento. Pertanto la decisione se trattare o meno rimane legata ai singoli casi in base all’età, alla frequenza degli episodi e ad altri fattori di contesto.
Considerazioni finali
Nella maggior parte dei bambini con otite media, la strategia “evidence based” consiste nell’adottare un comportamento di attesa di 48-72 ore con l’uso di analgesici (paracetamolo). Numerosi studi dimostrano infatti che nell’80% dei casi la sintomatologia si risolve spontaneamente nel giro di tre giorni. Gli antibiotici comportano uno scarso beneficio sul decorso della malattia, provocano la comparsa di effetti indesiderati e inducono un aumento delle resistenze batteriche e dei costi. Solo nei bambini più piccoli (meno di un anno) con una storia recente di OMA o con un grave quadro di otite all’esordio può essere ragionevolmente previsto un trattamento antibiotico precoce con amoxicillina. La decisione di non trattare con antibiotici va sempre accompagnata da esaurienti spiegazioni e da una rassicurazione della famiglia, ricorrendo al contatto telefonico sull’andamento delle condizioni cliniche del bambino. La prescrizione di un antibiotico da utilizzare solo nell’eventualità che il quadro non migliori nell’arco di 2-3 giorni, rilasciata al momento della visita, costituisce un ulteriore elemento di tranquillità per i genitori. In assenza di una dettagliata informazione verbale e/o scritta sulla benignità del disturbo, sulla sua evoluzione naturale, sui rischi, a fronte degli scarsi benefici che gli antibiotici comportano, non meraviglia che l’apprensione immotivata dei genitori per la sofferenza del figlio li spinga a fare pressioni più o meno esplicite per un uso immediato di antibiotici. Il ricorso all’antibiotico, così diffuso ancorché non giustificato, trova quindi ragione nelle difficoltà che la negoziazione tra medico e genitori incontra per applicare una condotta aderente alle raccomandazioni di buona pratica. D’altronde bisogna riconoscere che il convincimento della indispensabilità dell’antibiotico nasce da anni di pratica clinica interventista, e non è ragionevole pensare che le cose possano cambiare dall’oggi al domani senza un adeguato sforzo educativo, quanto più possibile condiviso e applicato da tutti i colleghi. Sia per l’OMA che per le altre affezioni dell’apparato respiratorio, spesso a risoluzione spontanea, deve essere quindi sviluppato un maggior lavoro di educazione dei familiari. In questo senso è auspicabile che in occasione dei momenti di aggiornamento o di formazione per i medici su queste patologie si ponga più enfasi sugli aspetti extraclinici riferiti al paziente o al medico stesso, piuttosto che sulla sola efficacia dei trattamenti antibiotici disponibili o su altri aspetti diagnostico-terapeutici. E’ altrettanto auspicabile che la ricerca in questo campo venga condotta sempre più nell’ambito della medicina generale, contesto molto più appropriato per determinare il miglior trattamento di questi disturbi. L’adozione, nel contesto “reale” della pediatria ambulatoriale, di un approccio più razionale all’uso dell’antibiotico è proprio l’obiettivo di uno studio italiano in corso, che si propone di verificare l’applicabilità di una proposta terapeutica che non preveda
il ricorso all’antibiotico in prima istanza se non in casi selezionati, nonché di confermarne l’efficacia clinica.
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