L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce la balbuzie come un disordine del ritmo del linguaggio nel quale l’individuo sa esattamente cosa vuole dire ma non è in grado di esprimerlo a causa di involontari prolungamenti ripetitivi o interruzioni del suono”.
La balbuzie quindi non è un problema clinico ma è un disturbo del linguaggio di origine nervosa senza alterazione degli organi.
Il pedagogo Scheider descrive perfettamente cosa succede all’interno dell’io di una persona balbuziente nel momento in cui deve cominciare a parlare. Ecco alcune citazioni chiave dal suo libro Prevenire la Balbuzie:
Devo fare attenzione quando parlo perchè potrei avere delle difficoltà.
L’attenzione viene richiamata sulla pronuncia difettosa di certi suoni. Questi suoni diventano così lettere difficili, che richiedono una speciale attenzione.
Ogni volta che il suono difficile si avvicina si cerca di padroneggiarlo con espressioni e compressioni, di costringerlo violentemente o di superarlo pronunziandolo ripetutamente.
La preoccupazione del disturbo ben presto domina il succedersi dei movimenti dei muscoli vocali, proprio quando occorre pronunziare le sillabe e le iniziali delle imminenti parole più temute e già altre volte mal pronunziate.
L’attimo in cui si inizia a parlare è fonte di grande tensione per un balbuziente. Questa tensione è ignorata da chi non ha il disturbo e non può comprenderla. La tesi di Scheider è che lo stress emotivo determina la balbuzie.
L’origine psicologica della balbuzie è sostenuta anche da Martin Schwartz in La balbuzie sconfitta.
La foniatra francese Suzanne Borrel Maisonner, considerata la più grande terapeuta della balbuzie, afferma che la fragilità emotiva è la caratteristica tipica dei balbuzienti. Le cause che portano una persona alla balbuzie sono quindi riconducibili alle apprensioni di carattere emotivo.
Le teorie relative all’eziologia della balbuzie sono divergenti secondo i paesi e secondo le scuole di pensiero, invece tutti concordano nel riconoscere a questo disturbo due diverse forme:
1. Forma Clonica,
la cui caratteristica è la ripetizione di una sillaba o di una lettera.
2. Forma Tonica,
che presenta un aspetto spasmodico della parola, con dei blocchi più o meno gravi sia nell’iniziare che nel corso del discorso e che a volte può essere accompagnata anche da sincìnesie, ovvero movimenti involontari della mimica facciale in funzione di compensazione per il vuoto verbale che si viene a creare.
Esiste poi una terza forma di balbuzie, che comprende entrambe le due forme sopra citate e che viene chiamata: Forma Mista.
La balbuzie è un fenomeno che colpisce il 3% dei bambini, più frequente nei maschietti, che compare in età prescolare, dopo i tre anni di vita e può essere chiamata Forma Transitoria ed è in rapporto ad una fisiologica evoluzione della normale acquisizione linguistica.
Ma si incomincia a parlare di balbuzie vera e propria non prima dei 5 o 6 anni.In effetti, si può fare diagnosi precisa di balbuzie solo quando il meccanismo si è ormai consolidato nel modello e nel tipo di comunicazione del bambino, cioè quando il modello si è cronicizzato.
Ciò che spaventa i genitori è in particolare la rapidità con cui insorge il disturbo: da un giorno all’altro il piccolo, che prima parlava normalmente, inizia a tartagliare.
Il problema scaturisce dalla difficoltà del bambino di individuare rapidamente le parole corrette per manifestare i concetti che si affollano nella sua mente e che vuole comunicare; in altri termini la velocità con la quale corrono le sue idee è molto superiore rispetto alla sua capacità di esprimerle con parole.
Nell’attesa che il disturbo si risolva spontaneamente (in genere nel giro di alcuni mesi), ci sono alcuni comportamenti che si possono consigliare:
a) non interrompere il discorso del piccolo chiedendogli di ripetere la parola pronunciata non correttamente: ciò evidenzia il suo errore mettendolo in imbarazzo
b) non sostituirsi al bambino nel completare la parola o la frase: questo provoca una specie di pigrizia espressiva
c) non invitarlo a restare calmo: in questo modo si aumenta la sua ansia e questo può favorire il balbettio
d) non rimproverarlo: non è colpa sua se tartaglia
e) non mostrarsi divertiti quando storpia le parole: ciò non è sicuramente di stimolo a parlare in modo corretto
f) non apparire preoccupati o ansiosi: se voi non date importanza al disturbo non la darà neanche vostro figlio e ciò contribuirà a superare più in fretta il problema.
Il miglior atteggiamento da assumere è armarsi di pazienza: il piccolo va ascoltato quando parla, senza irritarsi per i suoi errori di pronuncia. Articoliamo bene le parole in modo che il bambino capisca esattamente tutti i suoni e non abbia difficoltà a ripeterli correttamente.