L’ADHD consiste in un disordine dello sviluppo neuro psichico del bambino e dell’adolescente, caratterizzato da iperattività, impulsività, incapacità a concentrarsi che si manifesta generalmente prima dei 7 anni d’età. La sindrome è stata descritta clinicamente e definita nei criteri diagnostici e terapeutici soprattutto dagli psichiatri e pediatri statunitensi, sulla base di migliaia di pubblicazioni scientifiche, nel “Diagnostic and Statistic Manual of Mental Disorders”, il manuale pubblicato dalla American Psychiatric Association utilizzato come referenza psichiatrica a livello internazionale (DSM-IV).Secondo il DSM, l’ADHD può essere quindi definita come “una situazione/stato persistente di disattenzione e/o iperattività e impulsività più frequente e grave di quanto tipicamente si osservi in bambini di pari livello di sviluppo”. Questi sintomi finiscono con il causare uno stato di disagio e di incapacità superiore a quello tipico di bambini della stessa età e livello di sviluppo.
Andranno quindi sempre distinti:
1) Sintomi puri (“core symptoms”);
2) Profili sintomatologici specifici (aggressività, disturbo socialità, immaturità, isolamento)
3) Problemi comportamentali associati (di cui il più frequente è quello opposizionale, definito come “Oppositional Defiant Disorder”.
Per quanto riguarda i problemi relazionali, i genitori, gli insegnanti e gli stessi coetanei concordano che i bambini con ADHD hanno anche problemi nelle relazioni interpersonali (Pelham e Millich 1984). Vari studi di tipo sociometrico hanno confermato che bambini affetti da deficit di attenzione con o senza iperattività:
*ricevono minori apprezzamenti e maggiori rifiuti dai loro compagni di scuola o di gioco (Carlson et al, 1987);
*pronunciano un numero di frasi negative nei confronti dei loro compagni dieci volte superiori rispetto agli altri;
*presentano un comportamento aggressivo tre volte superiore (Pelham e Bender, 1982);
non rispettano o non riescono a rispettare le regole di comportamento in gruppo e nel gioco;
*laddove il bambino con ADHD assume un ruolo attivo riesce ad essere collaborante, cooperativo e volto al mantenimento delle relazioni di amicizia;
*laddove, invece, il loro ruolo diventa passivo e non ben definito, essi diventano più contestatori e incapaci di comunicare proficuamente con i coetanei.
Una specifica causa dell’ADHD non è ancora nota. Ci sono tuttavia una serie di fattori che possono contribuire a far nascere o fare esacerbare l’ADHD. Tra questi ci sono fattori genetici e le condizioni sociali e fisiche del soggetto.
Come già accennato ci sono delle condizioni associate alla sintomatologia principale e sono:
°Disturbo oppositivo provocatorio (Oppositional defiant disorder – ODD) (35%) e disturbo del comportamento (26%) che sono caratterizzati da comportamenti antisociali come ostinazione, aggressività, frequenti attacchi di collera, inganno, la menzogna, o il rubare, e che sono collegati con il disturbo antisociale della personalità (ASPD).
°Disturbo borderline di personalità che secondo uno studio su 120 pazienti di sesso femminile è risultato associato all’ADHD nel 70% dei casi
°Disturbo primario della vigilanza (intesa come attenzione), caratterizzata da scarsa attenzione e concentrazione, così come la difficoltà rimanere svegli. Questi bambini tendono ad agitarsi, sbadigliare e sembrano essere iperattivi al fine di rimanere vigili e attivi.
°Disturbi dell’umore: i ragazzi con diagnosi di sottotipo combinato hanno dimostrato di soffrire di questo tipo di disturbo.
°Disturbi bipolari: il 25% dei bambini con ADHD soffrono di disturbo bipolare. I bambini con questa combinazione possono palesare più aggressività e problemi comportamentali rispetto a quelli affetti solo da ADHD.
°Disturbi relativi all’ansia: si è riscontrato essere comune nelle ragazze con diagnosi di sottotipo caratterizzato da disattenzione di ADHD.
°Disturbo ossessivo-compulsivo: si ritiene ci sia una componente genetica comune tra tale disturbo e l’ADHD.
La diagnosi si basa sulla classificazione del DSM-IV (APA. 1994) suddivide il disturbo in tre quadri clinici:
tipo con disattenzione predominante, con prevalenza di sintomi di disattenzione
tipo con iperattività/impulsività predominante, con prevalenza di sintomi di iperattività/impulsività
tipo combinato, con prevalenza di entrambi i tipi di sintomi.
Secondo la maggior parte dei ricercatori e sulla base degli studi degli ultimi quarant’anni il disturbo si ritiene abbia una causa genetica. Studi su gemelli hanno evidenziato che l’ADHD ha un alto fattore ereditario (circa il 75% dei casi. Altri fattori sono legati alla morfologia cerebrale, o anche possono essere legati a fattori prenatali e perinatali o a fattori traumatici.
L’ADHD si presenta tipicamente nei bambini (si stima che, nel mondo, colpisca tra il 3% e il 5% dei bambini con un percentuale variabile tra il 30 e il 50% di soggetti che continuano ad avere sintomi in età adulta Si stima che il 4,7% di statunitensi adulti conviva con l’ADHD.
Studi sui gemelli hanno mostrato che tra il 9% e il 20% dei casi di malattia può essere attribuito a fattori ambientali I fattori ambientali includono l’esposizione ad alcol e fumo durante la gravidanza e i primissimi anni di vita. La relazione tra tabacco e ADHD può essere trovata nel fatto che la nicotina causa ipossia nel feto. Complicanze durante la gravidanza e il parto possono inoltre giocare un ruolo nell’ADHD. Le infezioni (ad esempio la varicella) prese durante la gravidanza, alla nascita o nei primi anni di vita sono un fattore di rischio per l’ADHD.
Disattenzione, iperattività e impulsività sono gli elementi chiave nel comportamento di soggetti colpiti da ADHD. I sintomi dell’ADHD sono difficili da definire poiché è difficoltoso tracciare una linea che demarchi i normali livelli di disattenzione, iperattività e impulsività da quelli che normali non sono e per i quali si richiede un intervento medico. Affinché possa essere diagnosticato l’ADHD occorre una osservazione dei sintomi in due situazioni diverse per almeno sei mesi al fine di valutare se determinati tratti comportamentali siano diversi da quelli degli altri bambini della stessa età.
Ma che cosa distingue un bambino vivace o semplicemente svogliato da uno affetto da tale disturbo? È difficile spiegarlo in poche parole, ma significativi campanelli d’allarme possono essere i seguenti sintomi: non presta mai attenzione ai particolari; ha difficoltà nel mantenere l’attenzione su compiti e giochi per un tempo prolungato; apparentemente non ascolta chi parla e non segue le istruzioni; ha difficoltà ad organizzarsi nei compiti e nelle attività e cerca di evitare quelle che richiedono sforzo mentale protratto; perde continuamente oggetti personali e anticipa le risposte prima che siano terminate le domande; ha difficoltà ad attendere il proprio turno e interrompe continuamente chi parla o è invadente.
C’è poi la forma più insidiosa di questa malattia, quella con disattenzione isolata. Si tratta di bambini non iperattivi o impulsivi ma che mostrano solo un importante deficit di attenzione, quindi buoni, calmi ma sempre in un loro mondo. Per loro la diagnosi arriva con quattro anni di ritardo rispetto agli altri. Sintomi come quelli elencati e che perdurano da oltre sei mesi e che sono profondamente disturbanti la vita sociale, scolastica e familiare del bambino, meritano di essere indagati.
Il trattamento dell’ADHD può richiedere un approccio sia terapeutico, seguendo una terapia psico-dinamica, che farmacologico. Il farmaco più indicato dagli studi per il trattamento farmacologico è il metilfenidato (prodotto con il nome commerciale di Ritalin®), assieme a diversi tipi di anfetamine.
In ogni caso, l’approccio terapeutico ottimale deriva dalla capacità da parte dei medici e delle famiglie di riuscire a elaborare, nel corso di un follow-up prolungato, un corretto bilancio beneficio-rischio per lo sviluppo del bambino affetto da ADHD. E’ cioè determinante riuscire a distinguere se ai fini di questo sviluppo sia più favorevole un trattamento farmacologico prolungato con stimolanti oppure interventi terapeutici e comportamentali non farmacologici.
Ultimi studi americani, pubblicati nell’agosto del 2011, riferiscono dell’importanza degli Omega 3,Omega 6 nel trattamento coadiuvante di questa patologia.
In Italia esiste L’AIFA : Associazione Italiana Famiglie ADHD.Cliccando sul titolo si puo’ visitare il loro sito web.
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