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Piumadoro « dott. Mario Pacella

Piumadoro

Piumadoro era orfana e viveva col nonno nella capanna del bosco. Il nonno era carbonaio ed essa lo aiutava nel raccattar fascine e nel far carbone. La bimba cresceva buona, amata dalle amiche e dalle vecchiette degli altri casolari, e bella, bella come una regina.

Un giorno di primavera vide sui garofani della sua finestra una farfalla candida e la chiuse tra le dita. “Lasciami andare, per pietà!…” Piumadoro la lasciò andare. “Grazie, bella bambina; come ti chiami?” “Piumadoro.” “Io mi chiamo Pieride del Biancospino. Vado a disporre i miei bruchi in terra lontana. Un giorno forse ti ricompenserò.” E la farfalla volò via.

Un altro giorno Piumadoro ghermì, a mezzo il sentiero, un bel soffione niveo trasportato dal vento, e già stava lacerandone la seta leggera. “Lasciami andare, per pietà!…” Piumadoro lo lasciò andare. “Grazie, bella bambina. Come ti chiami?” “Piumadoro.” “Grazie, Piumadoro. Io mi chiamo Achenio del Cardo. Vado a deporre i miei semi in terra lontana. Un giorno forse ti ricompenserò.” E il soffione volò via.

Un altro giorno Piumadoro ghermì nel cuore d’una rosa uno scarabeo di smeraldo. “Lasciami andare, per pietà!” Piumadoro lo lasciò andare. “Grazie, bella bambina. Come ti chiami?” “Piumadoro.” “Grazie, Piumadoro. Io mi chiamo Cetonia Dorata. Cerco le rose di terra lontana. Un giorno forse ti ricompenserò.” E la cetonia volò via.

II

 

Sui quattordici anni avvenne a Piumadoro una cosa strana. Perdeva di peso. Restava pur sempre la bella bimba bionda e fiorente, ma s’alleggeriva ogni giorno di più. Sulle prime non se ne dette pensiero. La divertiva, anzi, l’abbandonarsi dai rami degli alberi altissimi e scender giù, lenta, lenta, lenta, come un foglio di carta. E cantava:

Non altre adoro – che Piumadoro…
Oh! Piumadoro,
bella bambina – sarai Regina.

Ma col tempo divenne così leggera che il nonno dovette appenderle alla gonna quattro pietre perché il vento non se la portasse via. Poi nemmeno le pietre bastarono più e il nonno dovette rinchiuderla in casa. “Piumadoro, povera bimba mia, qui si tratta di un malefizio!” E il vecchio sospirava. E Piumadoro s’annoiava, così rinchiusa. “Soffiami, nonno!” E il vecchio, per divertirla, la soffiava in alto per la stanza. Piumadoro saliva e scendeva, lenta come una piuma.

Non altre adoro – che Piumadoro…
Oh! Piumadoro,
bella bambina – sarai Regina.

“Soffiami, nonno!” E il vecchio soffiava forte e Piumadoro saliva leggera fino alle travi del soffitto.

Oh! Piumadoro,
bella bambina – sarai Regina.

“Piumadoro, che cosa canti?” “Non son io. È una voce che canta in me.” Piumadoro sentiva, infatti, ripetere le parole da una voce dolce e lontanissima. E il vecchio soffiava e sospirava: “Piumadoro, povera bimba mia, qui si tratta di un malefizio!…”

III

 

Un mattino Piumadoro si svegliò più leggera e più annoiata del consueto. Ma il vecchietto non rispondeva. “Soffiami, nonno!” Piumadoro s’avvicinò al letto del nonno. Il nonno era morto. Piumadoro pianse. Pianse tre giorni e tre notti. All’alba del quarto giorno volle chiamar gente. Ma socchiuse appena l’uscio di casa che il vento se la ghermì, se la portò in alto, in alto, come una bolla di sapone… Piumadoro gettò un grido e chiuse gli occhi. Osò riaprirli a poco a poco, e guardare in giù, attraverso la sua gran capigliatura disciolta. Volava ad un’altezza vertiginosa. Sotto di lei passavano le campagne verdi, i fiumi d’argento, le foreste cupe, le città, le torri, le abazie minuscole come giocattoli… Piumadoro richiuse gli occhi per lo spavento, si avvolse, si adagiò nei suoi capelli immensi come nella coltre del suo letto e si lasciò trasportare. “Piumadoro, coraggio!” Aprì gli occhi. Erano la farfalla, la cetonia ed il soffione. “Il vento ci porta con te, Piumadoro. Ti seguiremo e ti aiuteremo nel tuo destino.” Piumadoro si sentì rinascere. “Grazie, amici miei.”

Non altre adoro – che Piumadoro…
Oh! Piumadoro,
bella bambina – sarai Regina.

“Chi è che mi canta all’orecchio, da tanto tempo?” “Lo saprai verso sera, Piumadoro, quando giungeremo dalla Fata dell’Adolescenza.” Piumadoro, la farfalla, la cetonia ed il soffione proseguirono il viaggio, trasportati dal vento.

IV

 

Verso sera giunsero dalla Fata dell’Adolescenza. Entrarono per la finestra aperta. La buona Fata li accolse benevolmente. Prese Piumadoro per mano, attraversarono stanze immense e corridoi senza fine, poi la Fata tolse da un cofano d’oro uno specchio rotondo. “Guarda qui dentro.” Piumadoro guardò. Vide un giardino meraviglioso, palmizi e alberi tropicali e fiori mai più visti. E nel giardino un giovinetto stava su di un carro d’oro che cinquecento coppie di buoi trascinavano a fatica. E cantava:

Oh! Piumadoro,
bella bambina – sarai Regina.

“Quegli che vedi è Piombofino, il Reuccio delle Isole Fortunate, ed è quegli che ti chiama da tanto tempo con la sua canzone. È vittima d’una malìa opposta alla tua. Cinquecento coppie di buoi lo trascinano a stento. Diventa sempre più pesante. Il malefizio sarà rotto nell’istante che vi darete il primo bacio.” La visione disparve e la buona Fata diede a Piumadoro tre chicchi di grano. “Prima di giungere alle Isole Fortunate il vento ti farà passare sopra tre castelli. In ogni castello ti apparirà una fata maligna che cercherà di attirarti con la minaccia o con la lusinga. Tu lascerai cadere ogni volta uno di questi chicchi.” Piumadoro ringraziò la Fata, uscì dalla finestra coi suoi compagni e riprese il viaggio, trasportata dal vento.

V

 

Giunsero verso sera in vista del primo castello. Sulle torri apparve la Fata Variopinta e fece un cenno con le mani. Piumadoro si sentì attrarre da una forza misteriosa e cominciò a discendere lentamente. Le parve distinguere nei giardini volti di persone conosciute e sorridenti: le compagne e le vecchiette del bosco natìo, il nonno che la salutava. Ma la cetonia le ricordò l’avvertimento della Fata dell’Adolescenza e Piumadoro lasciò cadere un chicco di grano. Le persone sorridenti si cangiarono subitamente in demoni e in fattucchiere coronate di serpi sibilanti. Piumadoro si risollevò in alto con i suoi compagni, e capì che quello era il Castello della Menzogna e che il chicco gettato era il grano della Prudenza.

Viaggiarono due altri giorni. Giunsero verso sera in vista del secondo castello. Era un castello color di fiele, striato di sanguigno. Sulle torri la Fata Verde si agitava furibonda. Una turba di persone livide accennava tra i merli e dai cortili, minacciosamente. Piumadoro cominciò a discendere, attratta dalla forza misteriosa. Terrorizzata lasciò cadere il secondo chicco. Appena il grano toccò terra il castello si fece d’oro, la Fata e gli ospiti apparvero benigni e sorridenti, salutando Piumadoro con le mani protese. Questa si risollevò e riprese il cammino trasportata dal vento; e capì che quello era il grano della Bontà.

Viaggia, viaggia, giunsero due giorni dopo al terzo castello. Era un castello meraviglioso, fatto d’oro e di pietre preziose. La Fata Azzurra apparve sulle torri, accennando benevolmente verso Piumadoro. Piumadoro si sentì attrarre dalla forza invisibile. Avvicinandosi a terra udiva un confuso clamore di risa, di canti, di musiche; distingueva nei giardini immensi gruppi di dame e di cavalieri scintillanti, intesi a banchetti, a balli, a giostre, a teatri. Piumadoro, abbagliata, già stava per scendere, ma la cetonia le ricordò l’ammonimento della Fata dell’Adolescenza, ed ella lasciò cadere, a malincuore, il terzo chicco di grano. Appena questo toccò terra, il castello si cangiò in una spelonca, la Fata Azzurra in una megera spaventosa e le dame e i cavalieri in poveri cenciosi e disperati che correvano piangendo tra sassi e roveti. Piumadoro, sollevandosi d’un balzo nell’aria, capì che quello era il Castello dei Desideri e che il chicco gettato era il grano della Saggezza.

Proseguì la via, trasportata dal vento. La pieride, la cetonia ed il soffione la seguivano fedeli, chiamando a raccolta tutti i compagni che incontravano per via. Così che Piumadoro ebbe ben presto un corteo di farfalle variopinte, una nube di soffioni candidi e una falange abbagliante di cetonie smeraldine.

Viaggia, viaggia, viaggia, la terra finì, e Piumadoro, guardando giù, vide una distesa azzurra ed infinita. Era il mare. Il vento si calmava e Piumadoro scendeva talvolta fino a sfiorare con la chioma le spume candide. E gettava un grido. Ma le diecimila farfalle e le diecimila cetonie la risollevavano in alto, col fremito delle loro piccole ali. Viaggiarono così sette giorni. All’alba dell’ottavo giorno apparvero sull’orizzonte i minareti d’oro e gli alti palmizi delle Isole Fortunate.