Una vedova maritata ad un vedovo. E il vedovo aveva una figlia della sua prima moglie e la vedova aveva una figlia del suo primo marito. La figlia del vedovo si chiamava Serena, la figlia della vedova si chiamava Gordiana. La matrigna odiava Serena ch’era bella e buona e concedeva ogni cosa a Gordiana, brutta e perversa. La famiglia abitava un castello principesco, a tre miglia dal villaggio, e la strada attraversava un crocevia, tra i faggi millenari di un bosco; nelle notti di plenilunio i piccoli gnomi vi danzavano in tondo e facevano beffe terribili ai viaggiatori notturni.
La matrigna che sapeva questo, una domenica sera, dopo cena, disse alla figlia: “Serena, ho dimenticato il mio libro di preghiere nella chiesa del villaggio: vammelo a cercare.” “Mamma, perdonate… è notte.” “C’è la luna più chiara del sole!” “Mamma, ho paura! Andrò domattina all’alba…” “Ti ripeto d’andare!” replicò la matrigna. “Mamma, lasciate venire Gordiana con me…” “Gordiana resta qui a tenermi compagnia. E tu và!” Serena tacque rassegnata e si pose in cammino. Giunse nel bosco e rallentò il passo, premendosi lo scapolare sul petto, con le due mani. Ed ecco apparire fra gli alberi il crocevia spazioso, illuminato dalla luna piena. E gli gnomi danzavano in mezzo alla strada. Serena li osservò fra i tronchi, trattenendo il respiro. Erano gobbi e sciancati come vecchietti, piccoli come fanciulli, avevano barbe lunghe e rossigne, giubbini buffi, rossi e verdi, e cappucci fantastici. Danzavano in tondo, con una cantilena stridula accompagnata dal grido degli uccelli notturni. Serena allibiva al pensiero di passare fra loro; eppure non c’era altra via e non poteva ritornare indietro senza il libro della matrigna. Fece violenza al tremito che la scuoteva, e s’avanzò con passo tranquillo. Appena la videro, gli gnomi verdi si separarono da quelli rossi e fecero ala ai lati della strada, come per darle il passo. E quando la bimba si trovò fra loro la chiusero in cerchio, danzando. E uno gnomo le porse un fungo e una felce. “Bella bimba, danza con noi!” “Volentieri, se questo può farvi piacere…” E Serena danzò al chiaro della luna, con tanta grazia soave che gli gnomi si fermarono in cerchio, estatici ad ammirarla. “Oh! Che bella graziosa bambina!” disse uno gnomo. Un secondo disse: “Ch’ella divenga della metà più bella e più graziosa ancora.” Disse un terzo: “Oh! Che bimba soave e buona!” Un quarto disse: “Ch’ella divenga della metà più ancora bella e soave!” Disse un quinto: “E che una perla le cada dall’orecchio sinistro ad ogni parola della sua bocca.” Un sesto disse: “E che si converta in oro ogni cosa ch’ella vorrà.” “Così sia! Così sia! Così sia!…” gridarono tutti con voce lieta e crepitante. Ripresero la danza vertiginosa, tenendosi per mano, poi spezzarono il cerchio e disparvero.
Serena proseguì il cammino, giunse al villaggio e fece alzare il sacrestano perché la chiesa era chiusa. Ed ecco che ad ogni parola una perla le usciva dall’orecchio sinistro, le rimbalzava sulla spalla e cadeva per terra. Il sagrestano si mise a raccoglierle nella palma della mano. Serena ebbe il libro e ritornò al castello paterno. La matrigna la guardò stupita. Serena splendeva di una bellezza mai veduta: “Non t’è occorso nessun guaio, per via?” “Nessuno, mamma.” E raccontò esattamente ogni cosa. E ad ogni parola una perla le cadeva dall’orecchio sinistro. La matrigna si rodeva d’invidia. “E il mio libro di preghiere?” “Eccolo, mamma.” La logora rilegatura di cuoio e di rame s’era convertita in oro tempestato di brillanti. La matrigna trasecolava. Poi decise di tentare la stessa sorte per la figlia Gordiana.
La domenica dopo, alla stessa ora, disse alla figlia di recarsi a prendere il libro nella chiesa del villaggio. “Così sola? Di notte? Mamma, siete pazza?” E Gordiana scrollò le spalle. “Devi ubbidire, cara, e sarò un gran bene per te, te lo prometto.” “Andateci voi!” Gordiana, non avvezza ad ubbidire, smaniò furibonda e la madre fu costretta a cacciarla con le busse, per deciderla a partire. Quando giunse al crocevia, inargentato dalla luna, i piccoli gnomi che danzavano in tondo si divisero in due schiere ai lati della strada, poi la chiusero in cerchio; e uno si avanzò porgendole il fungo e la felce e invitandola garbatamente a danzare. “Io danzo con principi e con baroni: non danzo con brutti rospi come voi.” E gettò la felce e il fungo e tentò di aprire la catena dei piccoli ballerini con pugni e con calci. “Che bimba brutta e deforme!” disse uno gnomo. Un secondo disse: “Ch’ella diventi della metà” più ancora cattiva e villana.” “E che sia gobba!” “E che sia zoppa!” “E che uno scorpione le esca dall’orecchio sinistro ad ogni parola della sua bocca.” “E che si copra di bava ogni cosa ch’ella toccherà.” “Così sia! Così sia! Così sia!…” gridarono tutti con voce irosa e crepitante. Ripresero la danza prendendosi per mano, poi spezzarono la catena e disparvero. Gordiana scrollò le spalle, giunse alla chiesa, prese il libro e ritornò al castello.
Quando la madre la vide dié un urlo: “Gordiana, figlia mia! Chi t’ha conciata così?” “Voi, madre snaturata, che mi esponete alla mala ventura.” E ad ogni parola, uno scorpione dalla coda forcuta le scendeva lungo la persona. Trasse il libro di tasca e lo diede alla madre; ma questa lo lasciò cadere con un grido d’orrore. “Che schifezza! È tutto lordo di bava!” La madre era disperata di quella figlia zoppa e gobba, più brutta e più perversa di prima. E la condusse nelle sue stanze, affidandola alle cure di medici che s’adoprarono inutilmente per risanarla.
Si era intanto sparsa pel mondo la fama della bellezza sfolgorante e della bontà di Serena, e da tutte le parti giungevano richieste di principi e di baroni; ma la matrigna perversa si opponeva ad ogni partito. Il Re di Persegonia non si fidò degli ambasciatori, e volle recarsi in persona al castello della bellezza famosa. Fu così rapito dal fascino soave di Serena che fece all’istante richiesta della sua mano. La matrigna soffocava dalla bile; ma si mostrò ossequiosa al re e lieta di quella fortuna. E già macchinava in mente di sostituire a Serena la figlia Gordiana.
Furono fissate le nozze per la settimana seguente. Il giorno dopo il Re mandò alla fidanzata orecchini, smaniglie, monili di valore inestimabile. Giunse il corteo reale per prendere la fidanzata. La matrigna coprì dei gioielli la figlia Gordiana e rinchiuse Serena in un cofano di cedro. Il Re scese dalla carrozza dorata e aprì lo sportello per farvi salire la fidanzata. Gordiana aveva il volto coperto d’un velo fitto e restava muta alle dolci parole dello sposo. “Signora mia suocera, perché la sposa non mi risponde?” “È timida, Maestà.” “Eppure l’altro giorno fu così garbata con me…” “La solennità di questo giorno la rende muta…” Il Re guardava con affetto la sposa. “Serena, scopritevi il volto, ch’io vi veda un solo istante!” “Non è possibile, Maestà” interruppe la matrigna “il fresco della carrozza la sciuperebbe! Dopo le nozze si scoprirà.” Il Re cominciava ad inquietarsi. Proseguirono verso la chiesa e già la madre si rallegrava di veder giungere a compimento la sua frode perversa. Ma passando vicino ad un ruscello, Gordiana, smemorata ed impaziente, si protese dicendo: “Mamma, ho sete!” Non aveva detto tre parole che tre scorpioni neri scesero correndo sulla veste di seta candida. Il Re e il suocero balzarono in piedi, inorriditi, e strapparono il velo alla sposa. Apparve il volto orribile e feroce di Gordiana. “Maestà, queste due perfide volevano ingannarci.” Il suocero e il Re fecero arrestare il corteo a mezza strada. Il Re salì a cavallo e volle ritornare, solo, di gran galoppo, al castello della fidanzata. Salì le scale e prese ad aggirarsi per le sale chiamando ad alta voce. “Serena! Serena! Dove siete?” “Qui, Maestà!” “Dove?” “Nel cofano di cedro!” Il Re forzò il cofano con la punta della spada e sollevò il coperchio. Serena balzò in piedi, pallida e bella. Il re la sollevò fra le braccia, la pose sul suo cavallo e ritornò dove il corteo l’aspettava. Serena prese posto nella berlina reale, tra il padre e il fidanzato. Furono celebrate le nozze regali. Della matrigna e della figlia perversa, fuggite attraverso i boschi, non si ebbe più alcuna novella.