Il suo nome greco è Φαίδρος (Phàidros); non è invece certo se il nome in lingua latina fosse Phaedrus o Phaeder. Il latinista francese Louis Havet curatore nel 1895 di una nota edizione delle Fabulae suggerì la forma Phaeder sulla scorta di alcune iscrizioni ma la forma latina Phaedrus è attestata in Cicerone e, in particolare, nei titoli – sia pure aggiunti posteriormente – di tre favole e in Aviano Egli è pertanto identificato comunemente con Phaedrus.
Quanto al luogo di nascita, Fedro stesso afferma di essere nato sul monte Pierio, luogo di nascita delle Muse, che al tempo faceva parte della Macedonia; però egli sembra anche alludere alla Tracia come sua patria, vantata come terra di poeti. È certo che il monte sorgeva in prossimità del confine trace e alla fine del I secolo, una rettifica dei confini delle due province lo ridusse in Tracia.
Fedro nacque intorno al 20/15 a.C. e giunse giovanissimo a Roma come schiavo, forse a seguito della violenta repressione, operata dal console Lucio Calpurnio Pisone, della rivolta avvenuta in Tracia nel 13 A.C.. La sua venuta a Roma ancora bambino è stata dedotta dalla sua affermazione di aver letto da bambino il Telephus, una tragedia ora perduta di Ennio; ma non si può escludere, per quanto poco probabile, che egli abbia potuto già studiare latino in Macedonia, e pertanto la questione della data della sua venuta a Roma resta insoluta.
Che egli sia stato uno schiavo familiaris, appartenente cioè alla familia di Augusto, e poi emancipato da questo imperatore è attestato nella titolazione manoscritta della sua opera, Phaedri Augusti liberti Fabulae Aesopiae; si deduce che il suo nome, dopo la liberazione, deve essere stato Caius Iulius Phaedrus, dal momento che i liberti assumevano il praenomen e il nomen del loro patrono.
Se Fedro fu effettivamente portato giovanissimo a Roma, potrebbe aver studiato alla scuola dell’erudito Verrio Flacco, tenuta nel tempio di Apollo che sorgeva sul Palatino dove studiavano anche i nipoti di Augusto, Gaio e Lucio, e di quest’ultimo, secondo un’ipotesi, potrebbe esser poi divenuto pedagogo, acquisendo quei meriti che, insieme con l’ascesa sociale, lo avrebbero portato alla libertà.
Come Fedro stesso ci informa,il ministro di Tiberio, Seiano, lo fece processare, sospettandolo di allusioni sgradite ai potenti. Ne uscì tuttavia indenne, forse anche per la caduta in disgrazia e la morte del prefetto, e poté continuare a scrivere indisturbato fino all’impero di Claudio(41-54), grazie a un liberto, Fileto, al quale è dedicato uno dei suoi ultimi componimenti, o forse anche fino all’impero di Nerone (54-68).
Fedro scrisse cinque libri di Fabulae (il titolo integrale è: Phaedri Augusti liberti fabulae Aesopiae), ma, di esse, ne restano appena novantatré: troppo poche, in verità, data anche la limitata estensione della maggior parte di esse, per pensare che potessero formare davvero un complesso di cinque libri. Si sospetta, perciò, a ragione, che ogni libro (specialmente il II e il V) sia stato sottoposto, attraverso i secoli, a tagli immeritati per ragioni didattiche e moralistiche, dal momento che il testo di Fedro divenne, presto, lettura di scuola.
Nel prologo del IV libro egli dichiara che le sue favole sono “esopie”, cioè seguono il genere di Esopo, ma non “esopiche”, perché molte di esse si ispirano a soggetti nuovi («novis rebus»), non trattati dal «gobbo frigio». Tali sono, ad esempio, tutte quelle di ambiente romano, suggerite dalla dura realtà della vita, da fatti, costumi e personaggi delL’epoca, che entrano a far parte di quel variopinto mondo animalesco nel quale pare rispecchiarsi tutta L’umanità, con le sue tendenze e i suoi difetti, con i suoi istinti e i suoi peccati.
La prepotenza, L’astuzia e L’ipocrisia, L’ingordigia e la rapacità, la vanagloria, la servilità, la ferocia, la crudeltà, la vendetta e quant’altro simile trovano espressione allegorica nel leone, nel lupo, nella volpe, nel cane, nell’aquila, nel pavone, nel corvo, nella pantera, nel coccodrillo, nel serpente: non c’è animale domestico e selvatico dei più comuni che non figuri nella ricca galleria fedriana, a rappresentare un certo tipo di umanità, a richiamare la riflessione moralistica